Descriversi, sì ma come?

I cerchi della conoscenza e in generale le presentazioni sono momenti per me sempre molto interessanti. Soprattutto perché amo osservare le persone e notare tutto quello che è comunicazione non verbale, vedere gli atteggiamenti e gli sguardi, osservare come si posizionano nello spazio collettivo, tutte cose che possono dire molto delle persone.

Le presentazioni cambiano in base a dove siamo, al contesto e al gruppo. Un cerchio della conoscenza fatto all’inizio di una settimana di vacanza sarà sicuramente diverso da quello tra i partecipanti a un evento, a un workshop e in generale in un contesto professionale. [Che poi, sarà sicuramente diverso perché siamo stati educati così, perché non sono mica sicura che sia una buona scelta].

In qualche caso le situazioni si sovrappongono causando come primo effetto la confusione, almeno in me.

Questa estate ero a bordo di una barca insieme ad altre otto persone. Quando ci siamo presentati la prima persona che ha parlato ha utilizzato frasi per descriversi che mi hanno colpita e lasciata anche alquanto perplessa, devo ammettere. Ogni frase iniziava con “io faccio, io ti insegno, io ti spiego”, nessun riferimento all’età, alla provenienza geografica, a quello che gli piace fare nel tempo libero visto che di vacanza si trattava. Una presentazione che era a metà tra una bio di LinkedIn e un video sponsorizzato su Instagram. Il tutto, tra l’altro, con una durata infinita, tanto che io che venivo esattamente dopo di lui dovevo fare attenzione e non perdermi nei miei pensieri, con la mente lontana per lo scarso interesse per quanto veniva raccontato. Forse anche per compensare il suo discorso, ho esordito con un “il mio lavoro non mi ha mai descritta abbastanza” e da lì ho parlato di altro, delle mie passioni, del perché stavo su una barca a vela e delle aspettative per la settimana.

Sono stata molto sincera anche perché credo davvero che il nostro ruolo lavorativo, il famoso job title che tanto interessa ad alcuni, sia un modo troppo riduttivo di descriverci perché parla di quello che facciamo durante il lavoro, non di quello che siamo, parla della nostra posizione gerarchica nel mondo del lavoro, non delle nostre passioni, dei nostri interessi o dei nostri talenti. Comprendo che in alcuni casi sia più efficace, in contesti lavorativi sicuramente non direi come prima cosa che sono una accanita lettrice, che amo il viaggiare lento e le camminate nella natura, anche se penso davvero che queste mie passioni descrivano meglio di un asettico ruolo la persona che posso essere anche in un ambito professionale.

La scorsa settimana ho invece partecipato a un workshop insieme a una dozzina di professionisti con cui ho affinità lavorative, molti di noi fanno un lavoro simile anche se con alcune sfumature che lo distinguono. In questo caso le presentazioni erano molto focalizzate sulle nostre professioni, ma è stato molto bello vedere che ognuno di noi ha inserito un pizzico di sé, un dettaglio in più che ha contribuito a dare un po’ di colore e scaldare l’ambiente.

Questi momenti di condivisione sono sempre molto affascinanti, descriversi in poche parole e presentarsi a persone nuove non è facile, quello che si dice è indicativo di quali porte si vogliano aprire e quali magari si lasciano per il momento in stand by, in attesa di capire meglio il gruppo in cui si è finiti.