
Oggi passeggiando per il centro nella mia ora d’aria quotidiana ho visto la primavera arrivare. I primi alberi che fioriscono con una giornata di sole come quella di oggi sono una bella botta di energia. E direi che ce n’è molto bisogno. È passato ormai un anno di convivenza con questa maledetta pandemia e la situazione non sembra minimamente vicina a una soluzione. Si aggiusta una cosa, se ne rompe un’altra, la coperta è sempre troppo corta. Viviamo in un enorme e collettivo déjà-vu che non accenna a cambiare di una virgola.
E poi siamo esseri umani e ci siamo umanamente rotti le palle di questa situazione, tutti, nessuno escluso anche se ognuno a modo suo. E capisci che tutti quando ti raccontano le loro motivazioni hanno ragione, ma per ora di libertà di azione non se ne parla.
Sono allibita nel vedere ancora, dopo dodici mesi di tormentoni scritti ovunque, persone che non sanno mettersi la maledetta mascherina come si dovrebbe.
Sono triste nel vedere gruppi di ragazzi che cercano la libertà in barba alle regole che dovrebbero valere per tutti. Ma questi almeno in parte li capisco, vivere sta schifezza nel pieno delle tue prime vere esperienze e relazioni col mondo, senza poter uscire da una micro zona, costretti a confrontarsi fin troppo con gli adulti, è difficile. Ma è difficile un po’ per tutti quindi anche loro fanno arrabbiare.
Sono nervosa e irascibile perché da tanto, troppo, sono costretta a questa non socialità e la senti tutta con il passare dei giorni e dei mesi.
Quello che mi spaventa di più sono le conseguenze sulla nostra psiche, sul nostro modo di interagire col mondo. C’è chi ha una voglia incredibile di poter tornare a viaggiare, come me, e chi ha paura anche della propria ombra. Chi vorrebbe andare in giro ad abbracciare tutti e chi non vuole più uscire se non nelle ore in cui spera di incontrare quasi nessuno. Ci vorrà ancora tanto tempo prima di essere tutti vaccinati e liberi di muoverci, ma prima o poi con il resto ci dovremo fare i conti.
Per questo sto sperimentando una nuova filosofia di vita: ogni volta che leggendo una mail o un messaggio mi verrebbe da incazzarmi o da dire ma io che ne so? ma perché lo chiedi a me che sto qui sola a parlare con un pc? Beh, non lo faccio, mi fermo prima di rispondere e penso a chi sta dall’altra parte, che magari ha scritto senza pensare, che magari ha scritto così perché aveva bisogno di sfogarsi e di cercare un confronto anche duro. E rispondo, eliminando dalla mia testa ogni elemento che mi ha dato fastidio, perché non serve assolutamente a niente arrabbiarsi per così poco. Anche quando così poco è per ora la nostra quotidianità.
Non diventerò più saggia con questa maledetta situazione, ma almeno salverò il mio fegato e renderò le mie giornate meno faticose. Perché come dice mia zia, sto bene sì, faticosamente bene. Ed è una condizione da difendere.